Il viaggio in Iran (1960) e il trasferimento in Marocco (1962-1965) ampliano gli orizzonti creativi di Harloff sui segreti della cultura islamica, orientale e araba, arricchendo la sua tavolozza di una luminosità nuova e impreziosendo la grafia di una stilizzazione da mosaico.
Sulla simbologia che l’autore ha acquisito dalla esperienza di vita e di studio, si innesca quella che è frutto di una elaborazione personale, allegorica del vero, composta da segni che tornano insistentemente in tutta la sua produzione: l’occhio (che è il suo occhio, dapprima disegnato e dopo il 1960 fotografato, ritagliato e incollato sulle superfici pittoriche), la mano, le lettere dell’alfabeto, i tappeti, il cuore, il libro, la ruota, l’albero della vita, elementi immancabilmente accompagnati da annotazioni, brevi locuzioni, datazioni mirate a rafforzare la coscienza della conoscenza.
L’occhio per Harloff simboleggia la visione, la capacità di vedere oltre la dimensione materiale, il terzo occhio della vista extrasensoriale. L’insistente richiamo allo sguardo capovolge la consueta percezione del dipinto, richiamando in tal senso il gusto surrealista di autori quali Dalì e Mirò: in presenza di un’inversione del tradizionale impatto con l’immagine, lo spettatore viene a sua volta osservato. Il questo modo Harloff crea una vera comunicazione, un contatto reale tra il dipinto e chi lo guarda.
COMPOSITION, 1960
LES VOLUMES, “LA PYRAMIDE”…, 1963
VERITE, 1964
IDEE DE CYPRES, 1968
MANDALA, 1969