Guy Harloff nasce a Parigi il 4 giugno 1933. La madre, Ida Teresa Conti, è svizzera di origini italiane; il padre, Han Harloff, olandese di origine russa nato a Java, è un ritrattista di successo della borghesia e dell’aristocrazia internazionale del tempo.
Trascorre l’infanzia perennemente in viaggio per seguire i genitori, affidato a balie e a governanti, soggiornando nei grandi alberghi di Biarritz, Deauville, Vichy, Cannes, Capri, Londra, Il Cairo, il Lido di Venezia, Budapest, ecc. E’ un giovane ribelle e pieno di rabbia. Appena adolescente, abbandona la famiglia e gli studi all’Ecole Chauveau di Parigi, dove inizia ad appassionarsi al cinema grazie a un compagno di scuola. Nella capitale francese vive di stratagemmi e di piccoli lavori saltuari e trascorre buona parte del tempo alla Cinémathèque Française di Henri Langlois. Nella capitale francese scopre inoltre una biblioteca pubblica nella zona dell’Ecole Militaire e tutte le mattine e parte del pomeriggio vi legge di tutto, da Goethe ai testi di alchimia. D’inverno è un assiduo frequentatore del Louvre.
L’artista a Parigi, anni cinquanta
Tornato in Italia, supera l’esame di ammissione al Centro Sperimentale Cinematografico di Roma e nel 1950 ottiene un impiego come secondo assistente sul set del film di Vittorio De Sica Stazione Termini, svolgendo di fatto le mansioni di tuttofare e figurante. Il cinema rimarrà sempre una sua grande passione, tanto che negli anni ottanta realizzerà due filmati, Petit inventaire e About Life. E’ soprattutto grazie a Doris Chase, artista americana nota per i suoi video all’avanguardia, che Harloff trova il coraggio di dedicarsi alla filmografia.
Nel 1953 si sposa a Positano con l’americana Caroline Warren Cole, ma il matrimonio si conclude poco dopo.
“The New York Times”, 10 marzo 1953
Nello stesso anno inizia casualmente a disegnare dopo aver trovato una scatola di pastelli appartenuta a suo padre, comprendendo ben presto che la pittura sarà la sua vera vocazione. All’epoca Harloff è spesso squattrinato e fatica a trovare perfino i soldi per i colori. Gli sono di grande ispirazione le ore passate con Alberto Giacometti e le sue visite a Hans Reichel. Ammira Hieronymus Bosch, che considera il più grande visionario di tutti i tempi, Goya, El Greco, Odilon Redon, Kurt Schwitters. Nei primi anni cinquanta si avvicina per un breve periodo al gruppo surrealista di Breton e Bettencourt. Autodidatta, intorno al 1953-1954 esegue i primi collages, realizzati utilizzando il materiale raccolto dalla strada (carta, sughero, legno, tessuto, ecc.). Nel 1954 tiene la prima personale alla Galleria Numero di Firenze, dove già aveva esposto in una collettiva nell’ottobre del 1953. Vive in una piccola stanza-studio in un albergo di Rue Gît-le-Coeur – negli anni a venire denominato “Beat Hotel” – frequentato da numerosi artisti della Beat Generation. E’ lo stesso Harloff a raccomandare questo hotel agli amici Peter Orlowsky e Allen Ginsberg nel 1957. Nella camera di Gît-le-Coeur, Harloff disegna centinaia di volte il suo occhio destro, divenuto poi elemento fondamentale di tutte le sue opere. Esegue disegni ininterrottamente e ovunque, al cinema, nei caffè, nei giardini pubblici. Si guadagna da vivere vendendo tappeti e oggetti d’arte africana a Saint-Ouen e, grazie a un venditore di dischi conosciuto al Marché Paul Bert, inizia a interessarsi profondamente alla musica jazz, che ascolta spesso anche nei pub e nei teatri parigini.
Negli anni del Beat Hotel frequenta Sharon Walsh, conosciuta a casa di Pegeen, figlia di Peggy Guggenheim, di cui Sharon è figliastra, e compie i primi viaggi a Milano, dove riesce a vendere alcuni dipinti.
A partire dal 1959-1960 è sostenuto sul mercato italiano da Arturo Schwarz e da Carlo Cardazzo.
Nel luglio del 1960 figura tra i partecipanti al primo vero happening europeo, L’Enterrement de la Chose de Tinguely, presso il Palazzo Contarini Corfù di Venezia. Si tratta di una sorta di cerimonia funebre, realizzata in margine alla Biennale, al termine della quale una scultura di Jean Tinguely viene gettata nelle acque del Canal Grande.
L’Enterrement de la Chose de Tinguely, invito
Nel corso degli anni sessanta e settanta partecipa a svariate mostre collettive e tiene numerose personali in Italia, Francia, Stati Uniti, Italia, Danimarca, Belgio, Paesi Bassi, Germania.
Tra il 1960 e il 1961 compie un viaggio di circa sei mesi in Iran, passando dall’Azerbaigian al Golfo Persico, da Persepoli a Mashhad, per approdare a Teheran. Dal 1962 al 1965 si stabilisce in Marocco, rafforzando il suo interesse per il mondo arabo. Risiede a Tangeri, ma con una Fiat Giardinetta 2300 si sposta nel sud del Sahara, fino al Sudan. Il contatto prolungato con il mondo islamico e con la luce bianca dell’Africa influenzano profondamente la produzione pittorica di Harloff di questo periodo.
Con Peggy Guggenheim alla Galleria del Cavallino, Venezia, 1962
In questi anni si reca spesso a Milano, dove è solito sostare al Bar Giamaica; gli amici Lucio Fontana e Roberto Crippa lo aiutano indirizzandolo verso i loro collezionisti.
Con Renzo Cortina (sinistra) e Roberto Crippa (destra). Courtesy Cortina Arte, Milano
Nel 1963 incontra per la prima volta a Parigi il celebre sassofonista Ornette Coleman, con il quale stringe un duraturo rapporto di amicizia. Nello stesso anno conosce la sua futura moglie, l’olandese Tientje Louw (inizieranno però a convivere solo nel 1969), con la quale collabora alla realizzazione del numero a lui interamente dedicato della rivista francese “Bizarre”. In occasione dell’uscita del numero speciale di “Bizarre”, il 10 aprile 1963 espone alcuni suoi quadri alla Librairie Anglaise di Parigi.
Dal 1965 al 1968 vive a Milano, dove sottoscrive un contratto con la galleria di Renzo Cortina. Nel 1968 Patrick Waldberg, storico del surrealismo, gli dedica una monografia edita da Mazzotta.
Nella casa di Milano, 1966
Dal 1968 al 1969 si stabilisce a Vernazza, nelle Cinque Terre.
Nel 1969 ritorna per un breve periodo a Parigi, per poi stabilirsi a Londra. Nella capitale britannica vive in media con sole 150 mila lire al mese e riesce a stento a pagare l’affitto per una piccola camera nel quartiere di King’s Cross. Si reca spesso nelle librerie alla ricerca di volumi rari di alchimia e nei musei londinesi; nei pub di Soho ascolta il jazz americano. Frequenta saltuariamente Francis Bacon, artista che non ama particolarmente, l’amico Steve Tokaruk e John Scott, professore di letteratura cinese all’Università di Edimburgo.
Nel 1970 è a New York con Tientje. Ornette Coleman fa loro da cicerone portandoli in giro per locali.
Nel 1972 tiene la prima personale a New York, presso la Waddell Gallery. Nello stesso anno partecipa alla prestigiosa collettiva “Documenta 5”, curata da Harald Szeemann. Sarà lo stesso Szeemann a allestire l’importante personale di Harloff alla Permanente di Milano nell’aprile del 1974, curata da Franco Passoni. Evento più unico che raro per l’Italia a quel tempo, alla vernice dell’esposizione Ornette Coleman e il suo gruppo intrattengono i visitatori tenendo un breve concerto di musica jazz.
Dal 1972 alla fine del 1974 vive e lavora su “Le Devenir”, una barca che si è fatto costruire, per la cifra astronomica di cinquanta milioni dell’epoca, in un cantiere sulle foci del Po. Si tratta di una sorta di galeone di circa venti metri di lunghezza, attrezzato anche per le traversate atlantiche, sul quale ha archiviato ben ottomila libri e in cui ha intenzione di collocare seicento videocassette di film americani.
Su “Le Devenir”, Portegrandi (Venezia)
L’artista a bordo dell’imbarcazione “Le Devenir”
Inizialmente vi abita con Tientje, poi, dall’aprile 1974, con la nuova compagna, l’ex fotomodella americana Maggie Ray. L’imbarcazione, arredata con fotografie di Coleman e arazzi arabi, è attraccata a Chioggia, presso i cantieri Nordio all’Isola Saloni, e Harloff vi compie frequenti viaggi tra le coste italiane e quelle della Dalmazia. La barca è spesso in avaria o in riparazione, pertanto la sua manutenzione è molto onerosa. In questo periodo Harloff conosce il regista jugoslavo Jovanović, con il quale anni dopo a New York girerà il film About Life. E’ su Le Devenir che Szeemann, in visita al Nostro, ha l’ispirazione per il suo celebre museo immaginario, il “Museo delle Ossessioni”.
Cartolina di Guy Harloff a Luigi Colombo, Rovigno (Croazia), 11 luglio 1973
Nel 1973-1974 realizza gioielli in oro, argento, smalto e pietre preziose, che espone alla Galleria Aran-Line di Firenze e presso la gioielleria Sirio di Milano.
Guy Harloff, gioiello La scala
Guy Harloff, gioiello L’albero
Con Maggie Ray, Chioggia, gennaio 1975
Colpito da un infarto tra la fine del 1974 e gli inizi del 1975, si vede costretto a vendere Le Devenir, non riuscendo nemmeno più a sostenerne le spese.
Lettera di Guy Harloff a Luigi Colombo subito dopo l’infarto del 1975
Cartolina di Guy Harloff a Luigi Colombo, New York, 29 luglio 1975
Concluso il contratto con il milanese Club Sant’Erasmo in seguito alla scomparsa del direttore, nonostante abbia sottoscritto un tacito rinnovo contrattuale con la Galleria Carini di Milano, parte per gli Stati Uniti. Acquista un camper Volkswagen e con Maggie – che sposa nel 1976 – per diversi mesi percorre gli USA coast to coast per 15.000 chilometri. Al termine di questo lungo viaggio si stabilisce a New York, dove da sempre alloggia – salvo una breve parentesi di alcuni mesi presso il loft di Coleman – al Chelsea Hotel, punto di approdo per artisti, scrittori e direttori di musei. Nel 1976 e 1977 soggiorna per lunghi periodi a Praiano (Salerno), dove vivono gli anziani genitori. In questi anni continua a spostarsi per lavoro, molto spesso a Milano, città in cui da sempre occupa una stanza al Grand Hotel et de Milan, nella centralissima via Manzoni. Nel 1987 tiene un’importante personale alla Biblioteca Comunale di Milano, dove presenta le sue più belle raccolte di arte grafica.
Proprio in virtù di questo continuo nomadismo, Harloff conosce diverse lingue – nei suoi quadri predilige l’uso dell’inglese, del francese, dell’italiano e del latino – e comprende perfettamente il dialetto milanese e il chioggiotto.
Negli anni ottanta prosegue il suo iter espositivo in Italia e all’estero (tra le più importanti collettive del periodo si ricorda l’“Art expo” di New York del 1980) .
Nel 1987, dopo anni di permanenza a New York, torna in Italia, dapprima a Levanto e successivamente a Galliate.
A Galliate, tra Milano e Novara, si trasferisce nel settembre del 1987. Inizialmente vive in un’ex fabbrica diroccata in fondo alla valle del Ticino, poi sceglie una casa più comoda, fissando come luogo di svago prediletto il bar-albergo-ristorante “Le 2 Colonne” di Galliate. Qui riceve messaggi e telefonate e incontra gli amici. Per Harloff Galliate rappresenta un piccolo paradiso lontano dal caos dell’hinterland milanese, a breve distanza dal capoluogo lombardo, dalla Costa Azzurra e dall’aeroporto della Malpensa, da dove può raggiungere New York.
Muore a Galliate il 6 gennaio 1991 per un infarto, a soli cinquantasette anni.